Il Werther di Dante Ferretti: le contrapposizioni dei sentimenti umani

di Gabriele Isetto



A causa dello sciopero nazionale indetto per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro delle Fondazioni Lirico Sinfoniche la prima del Werther di Jules Massenet, prevista per venerdì 17, non è andata in scena e quindi la replica di domenica 19 si è “trasformata” nella prima.
Questa nuova produzione vede alla regia un premio oscar del cinema e del teatro: Dante Ferretti, che ha firmato anche la scenografia ed i costumi. Partiamo subito col dire che il Maestro ha cambiato l’epoca della vicenda, trasportandola dal 1700 agli anni ’30; i puristi dell’opera potrebbero non essere d’accordo con questa scelta ma, a mio parere, nel caso di questa opera la trasposizione temporale è più che fattibile poiché nel libretto non viene fatto alcun accenno a vicende storiche o termini dell’epoca: è solamente una tormentata storia d’amore che non avrà un lieto fine. Ferretti ha saputo rendere la passione e la follia del protagonista che poi è il fulcro della vicenda.


Questa passione che va pian piano a “rompersi” la ritroviamo soprattutto nella bellissima scenografia che invade il palcoscenico: il primo atto si apre con una scena maestosa dove tutto è perfetto,  come anche il secondo e terzo atto che rappresentano rispettivamente la piazza con la chiesa e la casa di Charlotte. Si arriva infine al quarto atto che rappresenta la “caduta” di Werther, ambientato in un garage con in scena solamente un’automobile degli anni ‘30, dove il protagonista si uccide da solo lontano da tutto e da tutti. Tutte le scenografie sono state rese ancora più belle dal magistrale uso delle luci di Daniele Nannuzzi, specialmente nel primo atto in cui si passa molto lentamente dal giorno alla notte.


Ottima la direzione di Donato Renzetti, che ha guidato l’orchestra del Teatro in modo impeccabile, soprattutto nei brani strumentali: il preludio iniziale emozionante, fino ad arrivare ad un intermezzo straziante che precede il tragico finale. Da sottolineare  nel finale dell’opera, la fondamentale contrapposizione tra il dolore di Werther che sente avvicinarsi la fine e la felicità del coro delle voci bianche che intona con gioia canti natalizi.
Perfetti anche i cantanti, applauditi molte volte a scena aperta,  che hanno dato il massimo chi per il timbro vocale, chi per presenza scenica: Jean-Francois Borras (Werther), Jerome Boutillier (Albert), Armando Gabba (il Borgomastro), Roberto Covatta (Schmidt), Marco Camastra (Johann), Caterina Piva (Charlotte), Helen Carpentier (Sophie), Emilio Cesar Leonelli (Bruhlmann) e Daniela Aloisi (Katchen).

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