L’Elisir d’amore dai Paesi Baschi alla campagna Toscana
di Gabriele Isetto
La
stagione lirica del Teatro Goldoni di Livorno si è aperta con l’opera giocosa L’Elisr d’amore di Gaetano Donizetti per
la regia di Ludek Golat. Questo titolo mancava dai palcoscenici della città da
ben ottantanove anni, infatti fu rappresentata nel lontano 1929. La
particolarità di questa messinscena, da un punto di vista musicale, è il fatto
che il pubblico ha assistito all’opera integrale, senza tagli come invece si è
soliti fare e questo è un bene, perché cosi si comprendono meglio alcuni
passaggi della trama.
Il
direttore Marco Severi ha diretto l’Orchestra Sinfonica Città di Grosseto, con
ritmo vivace eseguendo l’allegra musica donizettiana in tutte le sue
sfaccettature. Buona anche la prova del Coro Lirico Livornese diretto dal
maestro Flavio Fiorini.
Il
cast, composto da cinque giovani e bravi artisti, è risultato essere
all’altezza: Tatsuya Takahashi nel ruolo di Nemorino è stato colui che si è
distinto maggiormente sia nel canto che nella recitazione; Silvia Lee è stata
una buona Adina, all’inizio un po’ giù di tono ma che si è subito ripresa;
Matteo D’Apolito e Italo Proferisce hanno avuto una perfetta tonalità nei
rispettivi ruoli del dottor Dulcamara e Belcore; Maria Salvini brava nel suo
ruolo di Giannetta.
Quest’opera,
come succede spessissimo oggi giorno è stata attualizzata e ciò si può vedere
anche dalle scenografie e dai costumi utilizzati, tutti di repertorio della
Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Non ci troviamo infatti, come
richiede il libretto, nei Paesi Baschi di fine 1800, ma in una campagna
Toscana dove Adina è proprietaria di un
Agriturismo. Sullo sfondo una grande tela con dipinto appunto un paesaggio
agreste, a ricordare un quadro dei macchiaioli. Anche i costumi sono in tema,
semplici abiti tipici dei contadini.
Ci
sono però due aspetti di questo spettacolo che hanno lasciato dubbioso il
pubblico: poco prima che inizi l’opera, a sipario chiuso, un ragazzo canta la
famosa aria Una furtiva lagrima (aria
che parla d’amore) e subito dopo abbraccia un altro ragazzo, forse fin troppo
politicamente corretto. L’altra cosa che non è stata compresa è la scelta
registica di utilizzare, senza senso, nel finale dell’opera una bandiera
raffigurante l’immagine di Che Guevara.
Tralasciando
però questi due aspetti, l’opera è risultata piacevole perché L’Elisir d’amore è un’opera leggera che piace
a tutti, anche a coloro che non amano l’opera seria.
Le foto a corredo dell'articolo sono di © Augusto Bizzi