Il Nabucco risorgimentale secondo Arnaud Bernard
di Gabriele Isetto
Sabato
7 luglio è andato in scena, per il secondo anno consecutivo, il Nabucco di Giuseppe Verdi, firmato da
Arnaud Bernard.
Entrando
in Arena ci accoglie la spettacolare scenografia di Alessandro Camera che ci
presenta l’esterno diroccato del Teatro alla Scala di Milano e, lateralmente le
barricate erette dal popolo, perché ci troviamo durante le Cinque giornate del
1848 e di conseguenza tutti i personaggi cambiano il loro essere. Due esempi su
tutti: Nabucco diventa l’imperatore Francesco Giuseppe e Abigaille una
principessa austriaca. Dopo l’overture, un
grandissimo numero di personaggi (comparse e coro) che rappresentano soldati di
vari eserciti, crocerossine, popolo, si muove concitatamente sul palcoscenico
perché siamo al culmine della ribellione. La scena è sicuramente maestosa,
degna di una grande produzione cinematografica, niente da invidiare alle
faraoniche messinscene di Franco Zeffirelli, ma non finisce qui perché durante
il terzo e quarto atto, grazie ad un meccanismo ruotante, ci troviamo all’interno
della Scala e quindi metateatro, cioè teatro nel teatro, con tanto di pubblico
che assiste all’allestimento del Nabucco.
La confusione è assicurata; immagino un neofita che si è preparato ad assistere
ai tormenti del popolo ebraico e invece si ritrova immerso nel Risorgimento. Infatti
è proprio questo il punto: dov’è il popolo ebraico? E’ vero che il regista fin
da subito ha dichiarato la sua intenzione di far svolgere «il tutto in maniera
cinematografica» inspirandosi a Senso di
Luchino Visconti e facendo sì che il tempio di Gerusalemme e tutta la parte
religiosa venissero sostituiti dal tempio laico della Scala e dalla
drammaticità politica dei moti rivoluzionari, ma la situazione non è ben
chiara. Di conseguenza anche i perfetti e curatissimi costumi, ideati dallo
stesso regista, fanno un salto temporale.
Ecco
allora lo scontro tra i puristi e coloro che sono invece aperti all’innovazione.
L’idea è buona perché in effetti lo stesso Verdi, soprattutto in vecchia, giocò
molto sul patriottismo del Nabucco e quindi
stavolta esiste un perché all’attualizzazione,
cosa che non sempre accade quando si hanno modernizzazioni spesso fine a se
stesse o ancor peggio realizzate solo per far discutere.
Bernard
consapevolmente dichiara fin da subito che all’interno di questo allestimento
ci sono delle inesattezze storiche (crocerossine, l’età di Francesco Giuseppe
ecc) però, a mio parere si storce il naso quando ad esempio si sente declamare
dal coro «Gli arredi festivi giù cadano infranti, il popol di Giuda di lutto s’ammanti!»
mentre il popolo italiano sta preparando le barricate per difendersi dal nemico
austriaco.
Il
maestro Jordi Bernàcer ha diretto ottimamente l’orchestra dell’Arena, cosa non
scontata perché molti erano, soprattutto nel primo atto, i rumori di scena che
potevano mettere a rischio la buona fruibilità della musica. Venendo ai
cantanti su tutti hanno svettato Amartuvshin Enkhbat (Nabucco) e Susanna
Branchini (Abigaille) entrambi decisi nella loro vocalità e con buona presenza
scenica, anche se la Branchini a volte ha esagerato e marcato troppo il
personaggio. Buone le interpretazioni di Luciano Ganci (Ismaele), sempre più un
promettente tenore; Géraldine Chauvet (Fenena) e Rafal Siwek (Zaccaria).
Adeguati nel loro ruolo Nicolò Ceriani (gran sacerdote di Belo), Roberto
Covatta (Abdallo) e Elisabetta Zizzo (Anna).
Parlando
di una delle opere corali per eccellenza, grandissimo merito va al coro (diretto
dal maestro Vito Lombardi) che ha ricevuto numerosi e meritati applausi, essendo
esso stesso nella sua totalità un personaggio fondamentale.
Le foto a corredo dell'articolo sono di © Foto Ennevi - Fondazione Arena di Verona