I costumi e le scenografie di Ezio Frigerio tornano alla Scala per il Falstaff di Strehler
di
Gabriele Isetto
In
questo articolo non farò una vera e propria recensione, ma parlerò della
scenografia e dei costumi che diedero un tocco di eleganza allo spettacolo
andato in scena nel 1980 al Teatro della Scala di Milano, e che è riproposto
questo mese: il Falstaff di Verdi per
la regia di Giorgio Strehler con scene e costumi di Ezio Frigerio.
Questa
messinscena rimase nella storia per le innovative scelte registiche e
scenografiche. Come sua abitudine il regista puntò molto durante le prove a
mettere in luce la fisicità e la naturalezza del gesto degli attori, aiutandoli
personalmente ad entrare al meglio nella parte.
Strehler,
di comune accordo con Frigerio, decise di ambientare la commedia non
nell’Inghilterra di Enrico IV, ma nella campagna padana tanto familiare a Verdi
e in un tempo non meglio definito. Casualmente lo scenografo aveva da poco
finito il suo lavoro a fianco di Bernardo Bertolucci per la lavorazione del
film Novecento (1976) e avendo
proprio vissuto nella campagna mantovana, ne trasse l’ispirazione per la
scenografia della prima scaligera nell’uso dei mattoni traforati, dei cortili,
dei fienili tipici del luogo e della caratteristica luce.
Per
quanto riguarda quest’ultimo aspetto molto importante fu la divisione della
scena secondo una diagonale che creava una zona d’ombra, in cui si svolgevano
le azioni interiori, ed una zona in pieno luce dove i personaggi interagivano
tra loro.
Nel
primo atto l’osteria della Giarrettiera era uno spazio enorme in cui la luce
del sole, filtrando attraverso i mattoni, creava un ombra quadrettata che
cadeva su grandi botti poste frontalmente in prospettiva, mentre sulla destra
c’era una scala quasi celata da alte colonne ed al centro un lungo tavolo con
sgabelli e un seggiolone.
Cambiava
completamente la seconda scena ambientata invece in una cascina, la casa di
Ford, anzi per meglio dire nell’aia, in cui veniva sparsa paglia vera e sulla
destra era presente un grande carretto pieno di fieno attorno al quale ruotava
l’azione delle comari e sul quale si rifugiano ad amoreggiare Fenton e Nannetta.
Sullo sfondo un “modellino” di cascina, sistemato dietro un leggero velo di tulle per dare il senso della
lontananza, si stagliava contro un cielo tipico del teatro di Strehler.
Nel
secondo atto, la scena che avrebbe dovuto svolgersi all’interno della casa di
Ford, fu trasportata invece anch’essa all’esterno mantenendo comunque il tipico
paravento che in tal modo rappresentava una scena nella scena. Particolare fu
la realizzazione della burla in cui Falstaff rinchiuso in una cesta, veniva
gettato nel fiume che in questo caso non era più il Tamigi ma il Mincio. Per
simulare la caduta, un attrezzista nascosto dietro un muretto, con un secchio
gettava acqua in aria creando uno spettacolare effetto, tanto che sembrava che
la cesta venisse realmente gettata in acqua e ciò strappava sempre l’applauso a
scena aperta da parte del pubblico.
Per
il finale dell’opera, in un esterno notturno illuminato da una pallida luna,
sulla destra era posto un enorme albero attorno a cui si svolgeva tutta la
festa. Nella parte anteriore del palco era steso un tappeto a ricreare
l’effetto di terra ed erba, mentre sul fondo il palcoscenico era allagato per
creare una suggestiva superficie specchiante argentea in contrapposizione alle
luci bluastre e a quelle delle zucche intagliate portate dai folletti nella
fantasmagoria finale. Durante la scena, sull’acqua scorreva una grande barca
carica di personaggi.