Intervista ad Alessandro Benvenuti
di Gabriele Isetto
Martedì
12 febbraio al Cinema Teatro 4 Mori di Livorno andrà in scena L’avaro di Molière per la regia di Ugo
Chiti, protagonista Alessandro Benvenuti. Per l’occasione l’attore mi ha
gentilmente consesso un’intervista.
L’avaro
di Molière è un
grande classico del repertorio teatrale ma nello stesso è contemporanea. Come
ci racconta il presente questo adattamento di Ugo Chiti?
Il
lavoro di Ugo Chiti è molto ben riuscito a livello proprio di riscrittura del
testo, un taglio di ridefinizione dei caratteri, di completamento di quelle
linee di racconto di Molière che nell’originale restano monche e senza
chiusura, poi l’aver creato un prologo ed un epilogo che descrivono, raccontano
e spiegano molto meglio la figura di Arpagone e che servono anche per sintetizzare
e dare un finale degno di questo nome a uno spettacolo che nell’originale non
ha finale, finisce proprio male, tronco, proprio così senza nessun fascino.
Alla base c’è questo tipo di lavoro fatto dall’autore che è importantissimo e
che è uno dei motivi del successo che questo spettacolo ha da tre anni.
Per
quanto riguarda il discorso dell’attualizzazione del personaggio, diciamo
intanto che l’avarizia è un vizio capitale che esisterà sempre finché esisterà
l’uomo, si parla di qualcosa che l’uomo non ha saputo estirpare o non ha saputo
creare un vaccino come contro il vaiolo, la poliomelite o cose del genere. Non
è che attualizzi il testo, però è vero che questo tipo di problema le persone
ce l’hanno tutt’oggi, la novità più importante sta nel modo in cui viene
proposto lo spettacolo a livello attoriale. Grazie anche a questo lavoro
intelligente, furbo, di riscrittura teatrale che ha fatto Ugo e soprattutto al fatto che
più che di accumulo, in questo caso Arpagone è un personaggio che ama molto
l’investimento, far fruttare i soldi è la sua religione oltre al piacere, un
po’ alla Zio Paperone. La cosa importante è che modernizza molto il tutto, è
questo desiderio di investimento che in qualche modo si riallaccia e dà ritmo
allo spettacolo, alla velocità con la quale oggi il denaro gira per il mondo:
passa da una banca all’altra, sparisce in qualche paradiso fiscale, ritorna da
un’altra parte, si ramifica e va in mille conti diversi; in questo senso la
recitazione generale di Arpagone è proprio sintomatica di questa energia che
produce l’oro. Questo è uno spettacolo, un classico, che si rinsangua con
questo modo di porlo al pubblico che è un modo rapido, secco, veloce, sintetico
e ritmico come corre il denaro. Questo fa si che l’eventuale pesantezza dovuta
ad un testo antico, a un modo molto spesso di rappresentarlo che è un po’
trombonesco da parte degli attori, in questo caso questi pericoli si schivano
proprio perché il senso generale, questa energia prodotta dalla velocità del
denaro, che diventa velocità del sangue di Arpagone confrontandosi con tutti
gli altri, costringe tutti, con una velocità di sangue, e quindi di
recitazione.
Alla fine, secondo lei,
il suo Arpagone è più un personaggio da odiare o da compatire?
Odiare,
compatire, no. È la rappresentazione di uno che ad un certo punto fallisce in
qualche modo, è uno che non se la gode perché non è quello il modo per essere
felice. Il denaro potrebbe aiutarti ad esserlo se tu riuscissi a staccarti nel
modo giusto dal denaro e farne un uso intelligente, lui non riesce a fare una
cosa del genere, per cui credo che compatire o odiare no, perché poi è un
personaggio divertentissimo. Credo che possa essere semplicemente uno specchio
nel quale guardarsi, non c’è una distanza tra Arpagone e il pubblico. Per quanto
si parli di avarizia, di denaro, però in realtà io non credo che ci possa
essere una identificazione del pubblico con questo personaggio. Lo spettatore
vede un bello spettacolo, punto e basta. Vede della gente brava, mi assumo ogni
responsabilità, vede un Arpagone estremamente diverso da tutti quelli visti
fino ad ora, quelli che ho visto un po’
da YouTube un po’ personalmente, non sono degli Arpagone come lo proponiamo
noi. È un Arpagone particolare che mi riguarda molto da vicino, quindi credo
che rimanga soltanto il piacere di vedere una commedia che sa di vita, perché
poi in realtà il miracolo più grande del teatro che in questo caso, a mio
modesto parere si ravvisa, è che è uno spettacolo che produce energia e vita.
Da quello che io ho visto fino ad ora il pubblico gode nel vedere uno
spettacolo bello, ben fatto e ben recitato, che lascia contente le persone che
si divertono, non si divertono in modo banale, ma vedono dell’arte, della
professionalità e soprattutto un sentimento di grande amicizia e complicità tra
gli attori che recitano.
Lei è un attore
istrionico che riesce sempre a catturare il pubblico. Quale è un altro ruolo
che le piacerebbe interpretare e con cui non si è ancora cimentato?
Non
ho di queste idee. Sinceramente ho i miei progetti che sto costruendo pian
pianino e mi vengono proposte tante cose, dico quasi sempre di no perché o ho
altro da fare, o non sono cose che mi interessano sinceramente, quando ho un
bisogno reale, scrivo per conto mio. Io giro con cinque spettacoli, quest’anno
ho finito con il Don Chisciotte con
Stefano Fresi ed è stata un’esperienza straordinaria, meravigliosa. Io giro con
Chi è di scena e quando posso fare il
personaggio di questo spettacolo io godo fisicamente e mentalmente perché è un
personaggio che mi piace da morire, o quando faccio la trilogia dei Gori per me è un piacere intellettuale e
fisico. Non ho sogni nel cassetto, i progetti mi vengono quando ho delle
necessità impellenti, se ho da dire qualcosa mi metto a scrivere e diventa uno
spettacolo. Poi se qualcuno mi fa una proposta e io leggo un testo che mi
sorprende letteralmente, allora lo posso prendere in considerazione.
Per finire una domanda
a parte. Ma quanto si diverte a girare I
delitti del Bar Lume? Perché l’idea che si percepisce è che, anche sul set,
si facciano grandi risate.
Non
stiamo a mitizzarlo più di tanto, mi diverto se c’è motivo di divertimento. Certamente
il clima è molto rilassato, questo si capisce, non c’è alcun dubbio. Io mi sono
divertito molto facendo tanta fatica, non creda che sia tutto rose e fiori. A
volte il divertimento è più quando si finisce di lavorare e uno si mette lì a
bere una cosa a Marciana Marina e si gode un tramonto stupendo, come in tutta
l’Elba. Sicuramente è un’avventura vincente, su questo non ci piove, però
sempre di lavoro si tratta. Sicuramente il regista crea un clima dolce, carino,
fattivo. Non è tutto divertimento, è lavoro che a volte viene bene, a volte
viene meno bene.