Il Macbeth di Abbado convince a metà
di Gabriele Isetto
Giovedì
18 ottobre si è concluso, dopo quattro repliche, il Macbeth di Giuseppe Verdi tratto dalla famosa tragedia di William
Shakespeare. La versione messa in scena al Teatro Regio di Parma dal regista
Daniele Abbado, figlio del famoso direttore d’orchestra Claudio Abbado, è
quella del 1847. Lo stesso Verdi infatti compose quest’opera per il Teatro
della Pergola di Firenze ma, quando nel 1865 fu invitato a rappresentarla a
Parigi al Théàtre Lyrique apportò
notevoli cambiamenti. È una rarità vedere su un palcoscenico la versione del
’47 e quindi già questo meritava la visione dello spettacolo, perché oggi
quando un regista vuole mettere in scena Macbeth,
sceglie la versione definitiva del ’65.
Ottima
prova per la Filarmonica Arturo Toscanini e L’Orchestra Giovanile della via
Emilia, guidate dal maestro Philippe Auguin, che ha eseguito la partitura
verdiana in maniera elegante ed in perfetta sincronia con gli accadimenti
scenici.
Un
elogio particolare va a Martino Faggiani che ha diretto il Coro del Teatro Regio
di Parma offrendo ottimi risultati, riuscendo a far si che le streghe
risultassero come un protagonista, e rendendo al meglio la scena del banchetto,
fino ad arrivare al IV atto con il famoso brano Patria oppressa, applaudito a scena aperta.
Tutto
il cast è risultato azzeccato per interpretare i vari personaggi della
tragedia, tra cui hanno spiccato: Davinia Rodriguez, una perfetta Lady Macbeth
con una grande voce che abbina a movenze eleganti sulla scena; Vladimir
Stoyanov (Macbeth) con un timbro possente a cui è stato chiesto il bis in una delle arie più famose: Pietà, rispetto, amore; Di pregio anche
il cast di contorno, tra cui spiccano Michele Pertusi, nel ruolo di Banco con
una buon canto, ottimo fraseggio e buona presenza scenica; Giovanni Sala (Macduff)
che se l’è cavata molto bene soprattutto nel IV atto, tanto che possiamo quasi dire che il suo personaggio
“domina la scena” e altrettanto buona anche la prova di Matteo Mezzaro nel
ruolo di Malcolm.
Dopo
le lodi sicuramente meritate per i cantanti, passiamo alle note dolenti, cioè
alla regia di Abbado che ha quantomeno lasciato perplessi, tanto da risultare,
a mio parere, non del tutto convincente, con una scenografia e dei costumi
(quest’ultimi a cura di Carla Teti) atemporali e in alcuni momenti non
adeguati. I cantanti si muovono sul palcoscenico all’interno di uno spazio
chiuso delimitato da enormi teli di plastica che, grazie all’ottimo uso delle
luci coordinate da Angelo Linzalata, cambiano colore a seconda della scena e
dello stato d’animo dei protagonisti. Belli i giochi creati dalla pioggia
nebulizzata, che però alla lunga hanno stancato.
I
costumi di alcuni personaggi sono risultati bizzarri, come ad esempio per il
coro dei sicari, vestiti con lunghi impermeabili trasparenti e con degli ombrelli
con i quali poi uccideranno Banco o per le streghe nel terzo atto, sinceramente
un po’ troppo trash. Buono invece
l’effetto ottenuto nella scena del
banchetto ed in quella del sonnambulismo di Lady Macbeth, in cui si sono
saputi rendere al meglio i momenti più
cupi della storia.
Le foto a corredo dell'articolo sono di © Roberto Ricci